Abbiamo chiesto al
Dottor Ignazio Borghesi, Coordinatore dell'
Unità Operativa di Neurochirurgia di
Maria Cecilia Hospital, di spiegare i vantaggi di queste tecniche mininvasive.
Gli interventi di neurochirurgia, oggi, possono essere eseguiti sfruttando
tecniche mininvasive ed endoscopiche che riducono al minimo il trauma del tessuto cerebrale favorendo rapida ripresa del malato e riducendo al minimo il tasso di complicanze operatorie.
Dopo aver praticato un
piccolo taglio sul cuoio capelluto ed un piccolo foro dell’osso del cranio si introduce il
microscopio cui si può associare l’endoscopio, un sottile strumento ottico dotato di telecamera per osservare l’organo interessato. In alcuni casi utilizziamo
l’esoscopio che è
l’ultima frontiera tecnologica in grado di riunire il microscopio e l’esoscopio in unico strumento.
Con queste tecnologie è stato possibili eseguire
più di 400 interventi di chirurgia mininvasiva per la
nevralgia del trigemino (dolore facciale intollerabile) causata dal conflitto tra una piccola arteria e il nervo trigemino ovvero lo spasmo del nervo facciale (contrazioni involontarie e fastidiose dei muscoli oculare della bocca).
Il trattamento chirurgico viene eseguito con un piccolo foro cranico dietro l’orecchio (grande come una moneta da 2 euro). Con la visione dell’esoscopio, del microscopio o dell’endoscopio è possibile ottenere una visione anatomica dei vasi e dei nervi così dettagliata che ogni manovra può essere eseguita in grande sicurezza. Raggiunto il nervo traumatizzato e interporre un frammento di muscolo tra il vaso e il nervo.
La chirurgia mininvasiva
consente anche il trattamento di patologia del rachide ed in particolare della giunzione tra il cervello ed il midollo.
Ad esempio in pazienti con artrite reumatoide si forma un processo infiammatorio tra il dente dell’epistrofeo (propaggine della seconda vertebra cervicale) e la prima vertebra cervicale. L’artrite reumatoide è una malattia reumatica su base autoimmunitaria che coinvolge l’1-2% della popolazione e predilige le donne. La malattia è caratterizzata dal coinvolgimento simmetrico di più articolazioni (che in fase florida si presentano tumefatte, calde e arrossate e sono dolenti) e spesso anche da febbre. Il dolore articolare è il sintomo predominante e si associa a rigidità articolare, è più intensa al risveglio e può durare anche alcune ore.
Le prime articolazioni a essere colpite sono quelle di piedi, polsi e mani, nel tempo le deformazioni appaiono più evidenti, fino al coinvolgimento dei gomiti, delle spalle, delle anche, delle ginocchia e delle caviglie. In rari casi, ma da tenere ben presente, la malattia coinvolge la giunzione cranio-cervicale, la parte più alta della colonna vertebrale ed in particolare l’articolazione C1-C2. L’instabilità che si crea a tale livello causata dalla degenerazione delle articolazioni deve essere indagata con risonanza magnetica e TC per decidere se e come intervenire. L’abolizione della instabilità e la riduzione della compressione della giunzione tra il cervello e il midollo è solo chirurgica.
Con un piccolo taglio posteriore tra la base del cranio e il rachide cervicale e l’ausilio di neuronavigatore (è come un GPS delle auto) si inseriscono delle viti che bloccano l’instabilità del segmento e con il microscopio si asporta la ciste che comprime il midollo).