Negli ultimi anni, i cambiamenti socioculturali, economici e lavorativi hanno spostato sempre più avanti l’età in cui le coppie decidono di avere figli. Se da un lato questo consente di dedicare maggiori attenzioni e risorse ai bambini, dall’altro è fondamentale affrontare la gravidanza con consapevolezza, conoscendone i rischi, le possibilità diagnostiche e le modalità di gestione.
“
La gravidanza in età avanzata comporta un aumento sia dei rischi per la salute della madre e del nascituro, sia delle complicanze al parto”, spiega la ginecologa
Silvia Sansavini, di
Primus Medical Center di Forlì.
Fertilità oltre i 40 anni: i limiti da conoscere
Rimandare la maternità può rendere più difficile realizzare il proprio progetto di vita. “Dopo i 39 anni si assiste a un calo significativo della fertilità naturale. Dopo i 45 anni, solo un numero molto esiguo di donne concepisce naturalmente e porta a termine la gravidanza”, sottolinea la specialista.
Se è vero che alcune ricerche suggeriscono un legame tra maternità tardiva e longevità, questi dati si riferiscono a donne che concepiscono spontaneamente e che quindi sono, per natura, più sane geneticamente.
In passato si parlava di età materna avanzata dopo i 35 anni, oggi il limite si è spostato oltre i 40. “Biologicamente la donna è più fertile tra i 15 e i 30 anni, ma per motivi sociali e professionali molte cercano una gravidanza tra i 35 e i 45, quando si riduce progressivamente la funzione ovarica”.
Nei Paesi più avanzati si ricorre sempre più spesso alla
crioconservazione degli ovociti, ma anche questa opzione ha dei limiti: “Dopo i 35 anni non è più ottimale. Oltre i 40, circa il 75% degli ovociti presenta anomalie cromosomiche”.
Gravidanza matura: aumentano i rischi
Oltre al calo della fertilità, dopo i 35 anni cresce anche il rischio di aborto spontaneo. “Nonostante i grandi progressi in ambito medico, la curva della fertilità non è cambiata rispetto a secoli fa. Anche se l’alimentazione, l’igiene e le terapie hanno migliorato la salute materna, la riproduzione è ancora strettamente legata all’età biologica”.
Anche la fecondazione assistita ha i suoi limiti: il tasso di successo si riduce con l’aumentare dell’età. “La maggior parte degli aborti è legata ad anomalie genetiche dell’embrione, che spesso non si impianta o si arresta nelle prime settimane. Il rischio di aborto spontaneo è del 10-15% sotto i 30 anni, sale al 25% dopo i 40, e raggiunge il 50% oltre i 45”.
Diagnosi prenatale: gli strumenti oggi disponibili
Oggi la medicina offre diversi strumenti per diagnosticare in modo precoce le anomalie cromosomiche. Oltre alla
diagnosi preimpianto (nelle PMA),
è disponibile il test NIPT (Non Invasive Prenatal Test), un esame su sangue materno che analizza il DNA fetale libero.
“Il NIPT individua con un’accuratezza tra il 97% e il 99% le principali anomalie. Inoltre, le nuove tecnologie permettono di estendere l’analisi all’intero corredo cromosomico, comprese microdelezioni e malattie genetiche”, spiega la dottoressa Sansavini.
Il test può essere eseguito dall’undicesima settimana, ma prima è consigliabile un’
ecografia accurata per rilevare eventuali marcatori come la plica nucale ispessita o l’assenza dell’osso nasale. In presenza di anomalie, si può procedere con test diagnostici come
villocentesi o
amniocentesi, oggi considerati sicuri e molto precisi.
Screening o diagnosi invasiva? Una scelta delicata
Per le donne over 40, la scelta tra test di screening e diagnosi invasiva non è semplice. “Da una parte l’età avanzata e la PMA aumentano il rischio di anomalie, dall’altra c’è la paura di perdere una gravidanza preziosa, spingendo molte donne a preferire test non invasivi”.