Pur trattandosi di un’attività ormai consolidata e con effettivo riscontro nell’abbattere la mortalità per
tumore alla mammella, non manca il dibattito circa il fatto di possibili sovradiagnosi: vale a dire l’identificazione di lesioni tumorali che mai sarebbero “venute a galla” se la donna non si fosse prestata ad eseguire lo
screeening mammografico per età.
A sostegno della tesi propositiva occorre aggiungere che pur non sussistendo allo stato attuale strumenti capaci di prevedere con certezza assoluta quale tipo di lesione si trasformerà in un cancro invasivo e quale, al contrario, rimarrà “in silenzio” per decenni, le ricerche compiute e divulgate a tutt’oggi propendono per i benefici ottenibili eseguendo l’esame secondo le modalità indicate dalle
linee guida per lo screening mammografico nelle fasce considerate più vulnerabili.
Nel 2015 in Italia sono stati accertati circa 48 mila nuovi casi di
carcinoma della mammella. Il
carcinoma mammario è la neoplasia più diagnosticata nelle donne: un tumore maligno su 3 è imputabile a lesione mammaria. Considerando le differenze anagrafiche e la variabilità territoriale, il
tumore della mammella colpisce oltre il 40% dei soggetti femminili tra 0 e 49 anni, il 35% delle donne tra 50 e 69 anni e il 21% di coloro che hanno dai 70 anni in su. Da qui l’importanza di un accurato
screening mammografico per età in grado di far fronte alle rispettive esigenze.
Fonti Istat evidenziano come il
carcinoma mammario (i dati si riferiscono al 2012) costituisca la prima causa di decesso per neoplasia. E ciò senza particolare distinzione nelle diverse fasi della vita: provoca morte oncologica prima dei 50 anni nel 29% delle pazienti esaminate; nel 23% delle donne tra i 50 ed i 69 anni e nel 16% di chi ha più di 70 anni.
Ma non mancano le notizie positive: dalla fine degli anni ’90 è stato possibile osservare una moderata e continua tendenza alla diminuzione delle morti per
carcinoma mammario (nell’ordine dell’1,5% l’anno). Un risultato da collegare alla sempre maggior diffusione dei programmi di diagnosi precoce - attuata tramite la corretta attuazione delle linee guida per lo
screening mammografico - e ai progressi in campo medico-scientifico. Anche la sopravvivenza a 5 anni è in moderata e costante crescita: un aspetto di particolare rilevanza la cui
giustificazione, in parte, sta nell’ottimizzazione delle cure disponibili.
La gestione dello
screening mammografico si basa dunque sulle differenze anagrafiche della donna (screening mammografico per età) e sul rischio di sviluppare un carcinoma mammario.
Fondamentale, gli specialisti insistono molto su questo punto, rapportarsi con il medico curante senza mai dimenticare nel cassetto le indagini diagnostico-strumentali eseguite nel recente passato.
Il dolore non è sintomo diretto di tumore
Il dolore non è sintomo
diretto di
tumore: in genere le forme iniziali di lesione neoplastica non lo provocano. Le statistiche chiariscono meglio quest’aspetto: su 1.000 donne che lamentano dolore al seno, meno dello 0,5% presenta una neoplasia; in oltre il 12% delle situazioni analizzate per mezzo dello
screening mammografico per età, il disturbo è frutto di
cisti o di altre cause non tumorali (in primis le variazioni ormonali a cui la donna fa più attenzione durante il ciclo).
La ricerca, al contrario, va intensificata in corrispondenza di noduli già palpabili e localizzati - accade nel 50% delle pazienti - nel quadrante superiore esterno della mammella. E’ comunque importante riferire allo specialista senologo prima o durante lo
screening mammografico qualsiasi alterazione del capezzolo (verso l’esterno o verso l’interno), perdite sierose o di sangue (qualora la perdita sia da entrambe le mammelle la causa è in prevalenza ormonale), cambiamenti nell’aspetto della cute (pelle a fossette o
buccia d’arancia) o della forma dei seni.
Il rischio di ammalarsi di
tumore al seno cresce in rapporto all’età: la probabilità di dover far fronte ad una lesione cancerosa è attorno al 2% fino ai 49 anni (1 donna su 43); poco più del 5% dai 50 ai 69 anni (1 donna su 18); del 4,5% (1 donna su 22) dai 70 anni in avanti. Il perché di simili “modificazioni” è correlato al mutamento fisiologico del sistema endocrino femminile e alla contemporanea attivazione/copertura dei moduli di
screening mammografico per età.
Sono due le
tipologie di cancro al seno: le forme non invasive e quelle invasive.
Le forme non invasive possono essere distinte in:
- DIN, neoplasia duttale intraepiteliale (detto anche carcinoma in situ) di grado 1, 1B, 1C, grado 2, grado 3;
- LIN, neoplasia lobulare intraepiteliale di grado 1, 2 e 3.
Le
forme invasive si riferiscono invece al
- carcinoma duttale: costituisce il 70-80% di tutte le forme di cancro al seno;
- carcinoma lobulare: rappresenta il 10-15% dei tumori al seno. Può colpire entrambe le ghiandole mammarie o comparire in più punti nella stessa mammella.
Altre forme di
carcinoma, meno diagnosticate e meno frequenti a livello numerico, sono il carcinoma tubulare, papillare, mucinoso, cribriforme.
I fattori di rischio
Quali i
fattori di rischio che possono incidere in modo “pesante” sullo sviluppo della neoplasia mammaria? Le
linee guida per lo screening mammografico mettono l’accento innanzitutto sui fattori cosiddetti riproduttivi: un prolungato periodo fertile con la comparsa delle mestruazioni prima dei 12 anni ed una menopausa dopo i 55 anni; l’assenza di gravidanze; la gravidanza a termine dopo i 30 anni; il non allattamento al seno del neonato.
Vi sono poi fattori ormonali: l’assunzione di terapia ormonale sostitutiva durante la menopausa e l’uso di contraccettivi orali (la pillola).
A seguire, i fattori dietetici e metabolici: l’eccessivo consumo di bevande alcoliche e grassi di origine animale; il basso introito di fibre vegetali; l’
辞产别蝉颈迟à (il tessuto adiposo in età postmenopausale influenza la quantità di estrogeni circolanti nel sangue: da qui lo stimolo continuo della ghiandola mammaria); le sindromi derivanti da
diabete,
dislipidemie (elevata concentrazione di colesterolo cattivo e trigliceridi) e ipertensione arteriosa.
Pur trovando radici in una predisposizione genetica, la sindrome metabolica non prescinde mai da stili di vita errati e contraddistinti da poca o scarsa attività fisica e da diete supercaloriche. Un’alimentazione equilibrata, una moderata e regolare attività all’aria aperta oltre a ridurre il pericolo di futuri
carcinomi al seno, normalizzerebbe il peso e l’assetto ormonale della donna.
Fattore di rischio aumentato è pure la pregressa
radioterapia al torace prima dei 30 anni e una precedente displasia o neoplasia mammaria.
Infine, fattori di rischio aumentato risultano essere (dal 5 al 7% dei carcinomi riscontrati) la familiarità e l’ereditarietà.
I disturbi benigni
Molte donne tra i 30 ed i 50 anni riferiscono in sede di
screening mammografico di avere una displasia mammaria, vale a dire un’alterazione dei tessuti che compongono la ghiandola mammaria e che nulla ha in comune con le lesioni maligne.
(i dati contenuti nel presente testo sono desunti dai dossier dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica).